scrivere per immagini

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Secondo me, niente meglio di questa splendida poesia può rappresentare la mia insoddisfazione di scrittura, l'anelito, il disagio, la mia incapacità.e tu mi hai detto “guarda, non attaccache qui nessuno ne può uscire illeso” – mi hai detto –e se mi giro indietro non ti trovoe non ti trovo avantimentre tuè chiaro che non cerchialtro che un’occasione di smentire.Sei una notte distante, qualche volta,altre soltanto un mal di testa lieveo forse non sei affattodiversa dalle solite illusioniche mi girano intornoquando mi viene questa voglia stranadi pettinartiper vedere se i pensieri tra i capellicadono quando piovementre mi accosto ancora a una finestradove scrivo qualcosasull’alitoe ti ripasso a mente.Condividi:FacebookMi piace:Mi piace Caricamento... 5 commenti | Pubblicato in: Senza categoria C’era una volta una strada, dove c’era una casa, dove c’erano degli abitanti. Non ci sono più.Questo per dire che oggi sono tornato nel mio vecchio quartiere per fare il richiamo contro il Covid: è chiaro che ci sono passato. E’ chiaro che non ho riconosciuto.Come è possibile che se uno passa per la sua vecchia strada, sotto la sua vecchia casa non riconosce? Per saperlo, chiedere al tempo.Allora, c’era una volta una strada e una casa; fino a qui ci siamo. Quanto agli abitanti ho già detto: non ci sono più. Non solo gli abitanti della casa, anche quelli della strada. Bé, si potrà chiedere, ma quanti cavolo di anni sono passati? Cinquanta.Accanto a casa mia c’era un negozio di dischi. Era fornito, ovviamente di dischi. Per conoscere la musica, usavo un metodo infallibile: ascoltavo tutto. Quello che mi piaceva lo compravo. Quando era troppo, acquistavo pacchi di LP a basso costo, li portavo a casa, li ascoltavo; quelli che mi piacevano li acquistavo successivamente in edizioni raffinate. E’ andata avanti anni.Di fronte c’era l’elettrauto dove portavo la mia 500 quando si attaccavano le puntine. Anche questo è andato avanti anni.Scendendo qualche passo, c’era il bar all’angolo della strada della scuola. C’è ancora, ma non i gestori. Nemmeno il tabaccaio.I palazzi sono tutti ritinteggiati e riconoscerli è difficile. Il mio non è stato ritinteggiato. Lo trovi come era, ma se cerchi chi ci abitava dentro ti imbatti nell’ignoto.C’è il mio balcone, dove mi affacciavo la sera per chiamare l’amico che abitava di fronte. Fischiavo io o fischiava lui. Fischiavamo.Risalendo qualche passo e attraversando, si arriva a un vecchio largo preceduto da portici. Lì c’era la vecchia scuola, quella delle medie, e gli amici. Ci passavamo i giorni. Quando passavano le ragazze, i giorni erano più belli. L’altra notte ho sognato che ci andavo. Appena attraversato, al posto del vecchio largo c’era un vuoto enorme. E macerie. C’erano macerie e un vuoto enorme: credo sia mio.Oggi non ci sono andato: ho temuto di poter sparire. Come è successo al cinema, al negozio di articoli sportivi, al fornaio di fronte, il ferramenta sulla piazza, l’ottico, il negozio di merceria, la farmacia. Tutte quelle persone: oggi le penso vecchie e mi spavento. Le penso morte e mi spaventa il tempo.In disparte alcuni Berberi lanciavano dadi fatti con ossa di cammello. Bevono, mentre la sera ha già distrutto il giorno.Sono cose che vanno a scomparire, come ii bottoni della mia camicia quando cadono e nessuno li raccoglie. O la sabbia.D’estate passavamo la notte al lungosenna. Stelle ovunque, ma non posso giurare che sia vero.Qui la notte è distanza. Stelle, ma sembra di guardare un giuramento fatto senz’alba al tempo di morire.Il fuoco è un guazzabuglio di visioni. Guizza, come i pensieri quando non hai tempo per fermarli. E distruggerli: uno alla volta.I filosofi commettono un errore capitale: pensano il tempo come una linea retta. Esso è invece un abisso, disperso sotto forma di spirale. Tutto scende e ritorna; sprofonda mentre sale. Per questo non riesco a abbandonarmi.A Parigi sembrava primavera, quando avevi una tela. I colori bisognava inventarli; un’esigenza senza condizione.Laggiù, da qualche parte nel buio, dovrebbe esserci il sonno (i compagni sono già nella tenda).Sono molte le cose che bisognerebbe avere: un cappello, un divano, un tappeto per non sperdersi troppo quando si cerca di rimanere vivi.E l’abbondanza, la miseria, l’astro, la notte, una coscienza senza adattamento. Un fiume, anche: scorrere, quando occorre restare.Più tardi, dopo molte boccate di vaniglia e illusioni di lamponi freschi: quelli lanciano dadi.Densi di archetipi e disagio, noi volevamo aprire un grande abisso non per colmarlo, ma per renderlo consapevole della sua natura di abisso e con ciò spaventarlo.Questo mondo in costruzione mi riempie di orrore.L’ho visto germinare; posso leggerlo come un libro stampato.Non è un mondo in cui voglia vivere. E’ un mondo adatto ai monomaniaci ossessionati dall’idea del progresso, ma di un falso progresso, un progresso che puzza.E’ un mondo ingombro di oggetti inutili che uomini e donne, per farsi sfruttare e avvilire, imparano a considerare utili.Per il sognatore i cui sogni non hanno un’utilità pratica non c’è posto in questo mondo.Qualsiasi cosa non si presti a essere acquistata e venduta, nel regno delle cose, delle idee, dei principi, dei sogni o delle speranze, è interdetta.In questo mondo il poeta è un anatema, il pensatore è uno sciocco, l artista un evasore, il profeta un criminale. Enter your email address to follow this blog and receive notifications of new posts by email. Unisciti ad altri 415 follower Indirizzo email: Privacy e cookie: Questo sito utilizza cookie. Continuando a utilizzare questo sito web, si accetta l’utilizzo dei cookie. Per ulteriori informazioni, anche sul controllo dei cookie, leggi qui: Our Cookie Policy

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